13
04
2020

Babele.it/c’eraunavoltailfuoco

Di Antonio Pellegrino

Nelle comunità delle parole, le parole diventano una sorta di idoli e si agiscono atti di devozione nei confronti di parole feticcio. La cosa è molto meno della parola che la indica, talvolta la cosa risulta addirittura un’altra cosa, e la parola mette in moto il falso. L’ era della comunicazione è l’era dell’antropocene, l’era in cui il sapiens sapiens perde definitivamente la sua coscienza pratica per assumere il ruolo dell’interfaccia, un io interposto che si traduce subito in testo, immagine, interposta persona all’infinito. La rete connette gli stili orientati da centri secretati. Consumi, identità, relazioni tutto è verificabile e falsificabile all’infinito. La pretesa della realtà è una protesa realtà. Lo scambio ideologico è annientato dalla troppa presenza di un presente eterno. L’induzione delle energie vitali alla qualità di vita, allo scambio sociale, alla socialità culturalmente data, tende al tribalismo e si fa anch’essa moltitudine per fuggire l’omologazione. L’ empasse storica di questa era è sempre nelle mani del trauma che accadrà. Il tutto in movimento, annunciatore di miracoli, risorgerà per morire all’infinito nella capitalistica idiozia del sempre nuovo. Il vecchio svolge solo una funzione nostalgica e la contemplazione è delegata agli avatar, agli androidi, e alle poche candele che accende ancora l’amore. L’umanità dell’antropocene è la brutta copia di un alveare morente. I fiori sono prima di tutto morte, poi odore, colore, miele. L’umanità dell’antropocene non conosce più la morte ma solo la distruzione, che prima era miracolo, poi trauma, poi arriva sempre il nuovo. Chissà se l’orizzonte del mio mare si muove. Chissà se le pietre dei miei monti sono animate. Chissà se l’acqua del mio fiume è viva. Abbiamo posato lo sguardo sullo schermo perché eravamo capaci di guardare il fuoco. Il teatro è più vicino al tizzone che al regista. Eppure abbiamo inserito l’interfaccia, il dialogo è diventato una trasmissione di dati e le parole non le ascolta più il sole che si sprigiona nella focagna. Quanto siamo vicini al sole! Eppure bruciamo quello di milioni di anni fa liberandolo per farci del male. Quanti tetti aspettano la luce! L’Antropocene è la babele senza sole di una umanità senza luce, l’era dei codici e della schizofrenia che nella comunicazione moltiplica all’ennesima potenza il male sovranista, la volontà al dominio, la mercificazione della specie. Il potere è nelle mani di chi emana parole e le parole sono nelle mani di chi detiene il potere. Non c’è mai stata nella storia dell’umanità un’equazione così globalmente perfetta. Eppure la perfezione non è una verità fatta solo di metodo, talvolta è il caos la via maestra. Osservando il cielo torniamo a casa ogni volta che vogliamo perché non c’è vuoto né estraneità tra le stelle, ma solo la strada. È nell’eco più profondo del tempo la via per fuggire Babele, la via maestra è un nido rovescio. La parola è distruggere, la cosa è distruzione, e si sono cosa e parola le vere compagne della storia e l’infinito non è nè una parola, nè una cosa.

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